Con la sentenza n. 2608 del 2 maggio 2023, la VI Sezione del TAR della Campania, ha chiarito alcuni importanti concetti che attengono all’esercizio del diritto di accesso documentale di cui alla Legge 241/1990, in relazione alle immagini raccolte dai sistemi di videosorveglianza.
Si ritiene innanzitutto che le immagini registrate e conservate in sistemi di videosorveglianza urbana rientrino nella nozione di documento amministrativo ai fini del diritto di accesso, considerata l’ampia dizione di cui all’art. 22, comma 1, lett. d), della l. n. 241/1990 e considerato che si tratta di immagini già esistenti, registrate dal Comune nell’esercizio di una attività di pubblico interesse e ancora in possesso dello stesso, come confermato dalla risposta del Comune che ha dichiarato che le immagini sono state “congelate”, pur precisando che potevano essere rese disponibili su richiesta dell’autorità giudiziaria.
La nozione normativa di documento amministrativo, suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale, è, infatti “ampia e può riguardare ogni documento detenuto dalla pubblica amministrazione o da un soggetto, anche privato, alla stessa equiparato ai fini della specifica normativa dell’accesso agli atti, e formato non solo da una pubblica amministrazione, ma anche da soggetti privati, purché lo stesso concerna un’attività di pubblico interesse o sia utilizzato o sia detenuto o risulti significativamente collegato con lo svolgimento dell’attività amministrativa, nel perseguimento di finalità di interesse generale” (cfr. C.d.S., Ad. plen., n. 19 del 2020).
Orbene, il ricorrente chiede la copia di un filmato acquisito dal Comune nell’ambito di una attività legata al perseguimento di finalità di interesse generale, tra cui, come previsto dall’art. 5 del regolamento comunale, anche quella di “vigilare sull’integrità, sulla conservazione e sulla tutela del patrimonio pubblico e privato, agevolando l’intervento della Polizia municipale e delle Forze dell’ordine e prevenendo eventuali atti di vandalismo o danneggiamento” e quella di “utilizzare, per quanto possibile, le immagini registrate nella ricostruzione delle dinamiche degli incidenti stradali”; e l’accesso della ricorrente, come specificato nella motivazione dell’istanza di accesso e nel sollecito, mira proprio a verificare la dinamica del sinistro che ha coinvolto la sua vettura parcheggiata in una strada pubblica, al fine di azionare la richiesta di risarcimento dei danni.
Le riproduzioni fotografiche versate in atti corroborano, infatti, la tesi della ricorrente secondo cui presumibilmente i danni subiti dalla sua auto sono stati causati dall’impatto con altro veicolo ed è proprio allo scopo di verificare i fatti e risalire, tramite la targa del veicolo danneggiante, al relativo proprietario responsabile dei danni subiti a seguito del sinistro, che la ricorrente chiede l’accesso alle immagini acquisite dal sistema di videosorveglianza.
Tale filmato, inoltre, è già esistente ed è stato “congelato”, per cui non è condivisibile l’eccezione del Comune secondo cui tale richiesta comporterebbe una inammissibile attività di “elaborazione di un nuovo documento”, trattandosi di “documento” già formato ed esistente.
Si ricorda, poi, che l’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 enuclea un’autonoma funzione del diritto di accesso, quella “difensiva” che può addirittura operare quale eccezione al catalogo di esclusioni previste per l’accesso partecipativo, salvi gli opportuni temperamenti in sede di bilanciamento in concreto dei contrapposti interessi, e, in particolare, di quello alla riservatezza, secondo i criteri indicati dalla medesima norma.
Come di recente chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 19 del 2020, l’accesso “difensivo” è infatti costruito come “una fattispecie ostensiva autonoma, caratterizzata (dal lato attivo) da una vis espansiva capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi; e connotata (sul piano degli oneri) da una stringente limitazione, ossia quella di dovere dimostrare la “necessità” della conoscenza dell’atto o la sua “stretta indispensabilità”, nei casi in cui l’accesso riguardi “dati sensibili o giudiziari”; inoltre, nel caso dei c.d. dati supersensibili l’accesso difensivo è subordinato anche al criterio della “parità di rango”.
Nel caso di accesso “difensivo”, la conoscenza dell’atto non è destinata a consentire al privato di partecipare all’esercizio del pubblico potere in senso “civilmente” più responsabile, ossia per contribuire a rendere l’esercizio del potere condiviso, trasparente e imparziale, ma rappresenta il tramite per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici.
L’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, invero, assicura “comunque” l’accesso se necessario per la tutela dei propri “interessi giuridici”, “senza limitare tale presidio di garanzia ai casi di liti tra il privato e la pubblica amministrazione o tra i privati nei casi in cui si fa questione dell’illegittimo esercizio del potere” e ciò “entro gli stringenti limiti in cui la parte interessata all’ostensione dimostri la necessità (o la stretta indispensabilità per i dati sensibili e giudiziari), la corrispondenza e il collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza”.
Come affermato dall’Adunanza plenaria citata, la necessità (o la stretta indispensabilità) della conoscenza del documento determina “il nesso di strumentalità tra il diritto all’accesso e la situazione giuridica ‘finale’, nel senso che l’ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, come il tramite – in questo senso strumentale – per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti (principali e secondari) integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica ‘finale’ controversa e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio” e tale delibazione “è condotta sull’astratta pertinenza della documentazione rispetto all’oggetto della res controversa”; la corrispondenza e il collegamento “fondano, invece, l’interesse legittimante, che scaturisce dalla sussistenza, concreta e attuale, di una crisi di cooperazione, quanto meno da pretesa contestata (in ipotesi suscettibile di sfociare in un’azione di accertamento), che renda la situazione soggettiva ‘finale’, direttamente riferibile al richiedente, concretamente e obiettivamente incerta e controversa tra le parti, non essendo sufficiente un’incertezza meramente ipotetica e subiettiva”. Inoltre, si è ribadito che ai fini del riconoscimento della situazione legittimante “non è positivamente richiesto il requisito dell’attuale pendenza di un processo in sede giurisdizionale” (cfr. Ad. plen. n. 19 del 2020, cit.).
Quanto al bilanciamento tra il diritto di accesso difensivo (preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato) e la tutela della riservatezza, è il medesimo comma 7 dell’art. 24 l. n. 241 del 1990 ad individuare i criteri di composizione degli interessi confliggenti, modulandoli in ragione del grado di intensità dei contrapposti interessi.
Anche in sede di successiva Adunanza plenaria n. 4 del 2021, il Consiglio di Stato ha ribadito che “l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare” e ha ulteriormente chiarito che “la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990”.
Tanto premesso, si rileva che, nel caso di specie, sussiste in capo alla ricorrente un evidente interesse concreto, diretto e attuale, di natura “difensiva”, ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990, all’ostensione di quelle immagini registrate dal sistema comunale di videosorveglianza che le sono indispensabili per verificare la dinamica del sinistro che ha coinvolto la sua automobile parcheggiata in una strada pubblica e individuare il numero di targa del veicolo danneggiante, e ciò per poter risalire al proprietario e avanzare richiesta di risarcimento dei danni ed eventualmente tutelarsi anche in sede giudiziaria. L’accesso alle immagini relative al sinistro è, invero, come dedotto dalla ricorrente, indispensabile alla stessa al fine di poter tutelare le sue ragioni di proprietaria dell’auto danneggiata, considerato che non può neppure avanzare richiesta di accesso al Fondo garanzie vittime della strada.
E non può essere di ostacolo allo specifico accesso a fini difensivi della ricorrente quanto rilevato dal Comune in relazione alle finalità degli impianti di videosorveglianza e alla disciplina di cui all’apposito regolamento comunale.
La fonte del diritto di accesso è, infatti, la legge dello Stato (art. 22 ss. l. n. 241/1990 e artt. 59 e 60 del d.lgs. n. 196 del 2003) da ritenersi prevalente sulla disciplina del regolamento locale. Il diritto di accesso agli atti costituisce, invero, “principio generale dell’attività amministrativa” ed attiene ai “livelli essenziali” delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, “di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”, come disposto dall’art. 29, comma 2-bis, della l. n. 241/1990 (in senso conforme su fattispecie analoga, cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sent. n. 1579 del 2021 cit.).
Il legislatore, inoltre, come sopra già detto, ha stabilito appositi criteri di contemperamento tra diritto di accesso e tutela della riservatezza, stabilendo, all’art. 24, comma 7, della l. 241 del 1990, che: “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”; e, all’art. 59, comma 1, del d.lgs. n. 196 del 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), come da ultimo modificato dal d.lgs. n. 101 del 2018 [Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE], ha espressamente chiarito che: “Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 60, i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati di cui agli articoli 9 e 10 del regolamento e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso”; all’art. 60 del medesimo d.lgs. ha poi specificato che: “Quando il trattamento concerne dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi, è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale”.
Né può escludere il diritto di accesso della ricorrente l’asserito pregiudizio organizzativo paventato dal Comune, considerato che lo stesso è stato prospettato in maniera del tutto ipotetica e in termini generici e tenuto conto che comunque, come da giurisprudenza anche di questo T.A.R., eventuali difficoltà organizzative non possono di per sé valere ad escludere il diritto di accesso (cfr., tra le altre, T.A.R. Napoli, sent. n. 926 del 2020).
Tenuto conto di tutto quanto sopra, si ritiene che la richiesta di accesso in esame possa essere accolta in parte e con le cautele necessarie a tutelare il contrapposto diritto alla riservatezza altrui, considerato che dalle immagini acquisite tramite il sistema di videosorveglianza potrebbero venire in rilievo anche dati sensibili e comunque dati di soggetti “terzi” estranei alla vicenda in questione.
In particolare, alla luce dei criteri citati e in ossequio al principio di proporzionalità e di minimizzazione, l’accesso richiesto va consentito limitatamente alle specifiche immagini da cui si evinca la dinamica del sinistro che ha riguardato l’autovettura della ricorrente e la targa del veicolo danneggiante – le uniche strettamente indispensabili alla difesa della ricorrente considerato che sono quelle che consentono di verificare i fatti occorsi e di individuare tramite il numero di targa del veicolo danneggiante il relativo proprietario, civilmente responsabile, cui avanzare richiesta di risarcimento dei danni -, con oscuramento delle parti di immagini che ritraggano persone e di quelle che contengano ulteriori dati afferenti a soggetti estranei alla vicenda.